Come d’aria

Come d’aria


LO SPETTACOLO E IL PUBBLICO SARANNO IN PALCOSCENICO. POSTI NON NUMERATI.

tratto dall’omonimo romanzo di Ada d’Adamo
adattamento e cura Fabrizio Arcuri

con Isabella Ragonese

Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
all’interno del progetto Teatro Fuori Porta
con il contributo di Regione Lombardia

 

Isabella Ragonese ripercorre le pagine di “Come d’aria”, portando sul palco il libro rivelazione che ha consacrato Ada d’Adamo al Premio Strega 2023.

Un memoir «toccante, straziante e pieno di vita», dove il tema della malattia dell’autrice – scomparsa prematuramente qualche mese prima del riconoscimento letterario – si intreccia a quello della disabilità di sua figlia Daria per diventare la miccia di una riflessione a tutto tondo che è, al contempo, carotaggio esistenziale e lucido “corpo a corpo” col reale e la sua spietatezza. Maternità e famiglia, identità e ruolo della donna, ma anche la presa di coscienza che il confine che separa amore e dolore, vita e morte è sottilissimo, a tratti inesistente: il reading di Ragonese raccoglie le parole di d’Adamo per restituirle allo spettatore in tutta la loro urgenza, perché, come nella più classica delle tragedie, «È necessario raccontare il dolore per sottrarsi al suo dominio».

RECITE

sabato, 5 ottobre – ore 20.30 Prosa off – fuori abbonamento

Moby Dick alla prova

di Orson Welles, adattato – prevalentemente in versi sciolti – dal romanzo di Herman Melville

Traduzione Cristina Viti

 

Capocomico / Lear / Achab / Padre Mapple                                     Elio De Capitani

Attor giovane / Ishmael                                                                    Angelo Di Genio

Attrice giovane / Cordelia / Pip                                                         Giulia Di Sacco

Direttore di scena / Cambusiere                                                       Cristina Crippa

Attore serio / Kent / Starbuck / Queequeg                                       Marco Bonadei

Attore di mezza età / Stubb / Daggoo / Voce dello Scapolo            Enzo Curcurù

Attore / Flask / Vedetta                                                                    Michele Costabile

Attore veterano / Peleg / Voce della Rachele                                   Massimo Somaglino

Attore cinico / Elijah / Tashtego                                                       Alessandro Lussiana

Attore con il giornale / Carpentiere / Vedetta                                  Vincenzo Zampa

Direttore d’orchestra                                                                        Mario Arcari

 

Regia                          Elio De Capitani


Costumi                      Ferdinando Bruni

Maschere                    Marco Bonadei

Luci                             Michele Ceglia

Suono                         Gianfranco Turco
Musiche dal vivo         Mario Arcari e Francesca Breschi

Coproduzione                        Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale

NOTE DI REGIA

di Elio De Capitani

 

Una duratura e magnifica ossessione quella di Welles per Moby-Dick. E finalmente il 16 giugno 1955, al Duke of York’s Theatre di Londra, Welles può lottare personalmente con le sue balene bianche: Melville, il palco vuoto e la sala piena di spettatori.

È un successo strepitoso: “questo spettacolo

è l’ultima pura gioia che il teatro mi abbia dato”.

Eppure al pubblico non dà né mare, né balene né navi. Solo un palco vuoto, una compagnia di attori, se stesso in quattro ruoli, Achab compreso, e il suo testo, su cui aveva lavorato per mesi, trovando una via indiretta per accettare la sfida impossibile del Moby-Dick di Melville: passare per Lear, lo spettacolo che la compagnia sta recitando ogni sera, che getta un ponte tra Melville e Shakespeare, scivolando dall’ostinazione di Lear – che la vita, atroce maestra,

infine redimerà – a quella irredimibile, fino all’ultimo istante, del capitano Achab.

Il blank verse di Welles – per noi splendidamente tradotto dalla poetessa Cristina Viti, milanese di nascita ma londinese d’adozione – restituisce con forza d’immagini potenti la prosa del romanzo, trasformando rapidamente l’iniziale entrare e uscire dal personaggio, che il capocomico Welles e i suoi attori fanno come ogni compagnia in prova, in una travolgente e intensa rappresentazione totale dello scontro, titanico e insensato, tra uomo e natura.

Oltre alla traduzione, un secondo potente motore di questa nostra versione del capolavoro di Welles (la prima in Italia) è una ciurma d’attori più che pronti alla sfida: un cast che rappresenta la saldatura tra le eccellenze artistiche di tre generazioni dell’ensemble dell’Elfo, (dove anche molti dei giovani sono artisti pluripremiati), e che ha lavorato in pieno lockdown all’Elfo Puccini di Milano, ritrovando, nella difficoltà del momento, l’assoluta concentrazione d’un ritiro totalizzante, da eremo, che solo la vita ferma fuori le mura del teatro ci ha per una volta concesso. Terzo potente elemento è la musica, composta e suonata dal vivo da Mario Arcari: è una portentosa generatrice di emozioni profonde, sia nelle esecuzioni strumentali che nei cori e nei Sea shanties diretti da Francesca Breschi.

Ed è così che il capodoglio bianco ha preso la nostra vita. Da quando abbiamo iniziato a portare sulla scena Moby Dick alla prova di Orson Welles, la duplice natura del grande mammifero marino ci tormenta.

Il controcanto a quest’odio iperumano sta proprio nel cuore del romanzo di Melville e lo abbiamo voluto anche nel cuore della nostra versione scenica:

Dicono che spesso, da che più feroce e spietata si è fatta la caccia, le balene in enormi branchi solchino gli oceani per darsi l’un l’altra protezione e assistenza. (…) se vi inoltrerete fino al cuore del branco dove giungono attutiti il clamore e lo spumeggiare delle onde, lì la distesa del mare vi apparirà come una levigata tela di raso (…) Lì femmine e cuccioli giocano innocenti, pieni di gioia e senza timore o diffidenza alcuna. E se il vostro sguardo si spinge giù, giù, in quella trasparente profondità, lì in quelle caverne d’acqua vi appariranno le sagome delle balene che danno il latte e di quelle prossime a partorire. E come i neonati umani quando poppano puntano il loro sguardo tranquillo e fisso lontano dal seno, come se si nutrissero ancora di qualche loro memoria ultraterrena, così i piccoli di quelle balene vi guarderanno, ma non voi veramente, come se al loro occhio tranquillo voi non foste che un pezzetto di alga nel golfo.

Quindi è la natura dell’uomo a essere duplice, non quella della grande balena. Oltraggiosa e irrefrenabile natura, oscena come lo era la teologia baleniera, inventata come alibi perfetto dai quaccheri di Nuntucket, che suonava così: Dio ha fatto il Capodoglio per l’uomo e ha previsto ogni suo bisogno, dotando quella bestia, più ancora di tutte le altre balene, di quanto ci serve per vivere confortevolmente.

E allora la caccia divenne industria e l’olocausto marino fece da eco a quello terrestre dei bisonti, allo scempio – nel mondo – che l’uomo fece e fa della natura e di interi popoli, sterminandoli o schiavizzandoli.

Achab, come Kurtz in Cuore di tenebra, per devastare la natura, soggioga i suoi simili e ne fa strumento del suo odio, con estrema facilità: compito agevole, dopotutto… La mia unica ruota dentata sa mettere in moto i loro diversi meccanismi… ed eccoli tutti in moto…

Vitalismo rapace, prepotentemente – ma non esclusivamente – occidentale, che rappresenta quella parte d’umanità che ci porta al disastro, al gorgo mortale che inghiotte la Pequod. Siamo alla sesta estinzione di massa, siamo al riscaldamento globale, siamo sull’orlo del baratro e continuiamo a correre. Generando odiatori meno mitici ma altrettanto ferali di Achab.

Riascoltando le cronache del G8 di Genova venti anni dopo, impressiona la follia repressiva che offese i corpi, segnò le menti e colpì le idee di quell’imponente movimento trasversale che aveva a cuore il destino del pianeta e dei popoli. Diciamolo: Moby-Dick parla di noi, oggi. Ne parla come solo l’arte sa fare. Cogliendo il respiro dei secoli – tra passato e futuro – nel respiro di ogni istante della nostra vita.

ELIO DE CAPITANI

«Del teatro ho fatto tutti i mestieri: il facchino, il tecnico, l’amministratore, l’organizzatore, l’attacchino, l’attore per dieci anni e il regista per dodici. Di necessità virtù. Il teatro non è stata la mia vocazione ma un caso».

Lega il suo nome al Teatro dell’Elfo, entrandone a far parte non ancora ventenne nel 1973. Attore in molti spettacoli del giovane Salvatores, passa alla regia nel 1983 con una personale versione di Nemico di classe di Nigel Williams che lancia i giovanissimi Paolo Rossi e Claudio Bisio.
Molti lo ricordano nei panni del Caimano del film di Nanni Moretti, ma la sua patria è il teatro: dalla sua prima regia, ha firmato una cinquantina di spettacoli – da solo o a quattro mani con Ferdinando Bruni – dirigendo Mariangela Melato, Umberto Orsini, Toni Servillo, Lucilla Morlacchi, Paolo Pierobon, ma soprattutto gli attori dell’Elfo.

Dalla fine degli anni Ottanta per molti anni lavora intensamente su Shakespeare mettendo in scena Sogno di una notte di mezza estate (nel 1988 con traduzione di Patrizia Cavalli e nel 1997 con traduzione di Dario Del Corno), Amleto, un lavoro a tappe che vede il regista tornare a Elsinor fino al 2006, il Mercante di Venezia e infine, nel 2011, Racconto d’inverno, dirigendo Ferdinando Bruni nei ruoli principali di questi ultimi tre.

Ma gli anni Novanta sono segnati anche dall’incontro con un grande autore italiano: Pasolini. Nel 1995 allestisce per la Biennale Teatro I turcs tal Friul, opera giovanile del poeta friulano, affidando a Lucilla Morlacchi la guida di un cast numerosissimo di attori e cantanti che eseguono i bellissimi cori di Giovanna Marini. E il binomio di Pasolini e Marini accompagna anche un altro importante progetto di De Capitani, l’Orestiade, allestita nel 1999.

Negli anni Duemila si concentra particolarmente sulla drammaturgia contemporanea in lingua inglese, passando da Mark Ravenhill a Sarah Kane, da Tony Kushner a Peter Morgan, da Tennessee Williams a Arthur Miller, con un ritorno a Shakespeare nel 2018 quando porta in scena Otello insieme a Lisa Ferlazzo Natoli. Ma è Miller a regalargli il più grande successo con il celebre ruolo di Willy Lohman (Premio Hystrio e Premio ANCT 2014 come miglior attore, oltre che il Premio Flaiano per la regia).

È in scena al fianco di Bruni in Frost/Nixon e nel Vizio dell’arte di Alan Bennett ed è al suo fianco anche alla regia dei più importanti progetti messi in cantiere dal 2018: Afghanistan, grande affresco in due parti debuttato al Festival di Napoli, Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte e la nuova edizione del premiatissimo Angels in America, pietra miliare della sua storia e di quella dell’Elfo. Nel 2007 lo spettacolo aveva ottenuto tutti i maggiori premi italiani: ANCT, Eti – Gli Olimpici per il Teatro (Miglior regia e Miglior spettacolo di prosa), Hystrio alla regia e Ubu a Elio De Capitani come Attore non protagonista (nel ruolo dell’avvocato Roy).

I suoi personaggi più famosi sono raccontati nel volume di Laura Mariani L’America di Elio De Capitani – Interpretare Roy Cohn, Richard Nixon, Willy Loman, Mr Berlusconi.

Non sono rare le sue incursioni nel mondo del teatro musicale, sia come regista di opera che come voce recitante: nel 2019 interpreta Earth, I walk upon Thee di Silvia Colasantiandato in scena ad Abu Dhabi, nel 2020 interpreta Apokàlypsis di Marcello Panni all’Accademia di Santa Cecilia.

Cura la direzione artistica del Teatro dell’Elfo con Ferdinando Bruni.

 

FERDINANDO BRUNI

Protagonista della storia dell’Elfo dalla sua fondazione, è condirettore artistico del teatro con Elio De Capitani, attore e regista delle produzioni più importanti.

Interprete capace di passare dai ruoli classici per eccellenza ai personaggi contemporanei più trasgressivi, Bruni ottiene importanti successi personali con le interpretazioni shakespeariane di Amleto (debuttato nel 1994 ed elogiato sul Financial Times), del Mercante di Venezia (2003), del Racconto d’inverno e di un’originale Tempesta, realizzata con Francesco Frongia nel 2005, dove dà voce a una schiera di personaggi-marionette e “si propone – secondo molti critici – come erede legittimo di Carmelo Bene”.

A partire dagli anni Novanta Bruni si dedica sempre più alla regia. Insieme a Elio De Capitani porta il teatro di Fassbinder al successo in Italia, in primo luogo con la trilogia composta da Le amare lacrime di Petra Von Kant, La bottega del caffè, I rifiuti, la città e la morte, in seguito con Come gocce su pietre roventi.

Dopo Fassbinder mette in scena Copi, Mischima e Ravenhill. Ma le sue scelte registiche guardano anche ai grandi autori moderni, come Tennessee Williams (Zoo di vetro) e Cechov, di cui allestisce nel 2006 il Giardino dei ciliegi, dirigendo Ida Marinelli e la compagnia dell’Elfo, applaudita per rigore e sensibilità interpretativa. Senza tralasciare Brecht di cui porta in scena nel 2009, insieme a Elio De Capitani, L’anima buona di Sezuan, protagonista Mariangela Melato. Torna a Brecht nel 2015 firmando a quattro mani con Francesco Frongia Mr Pùntila e il suo servo Matti, un vero successo popolare di cui è anche protagonista.

Sono due testi contemporanei (inediti in Italia) che segnano un punto di svolta nella storia della compagnia e si aggiudicano i più importanti premi, restando a lungo dei ‘cult’: Angels in America di Tony Kushner, firmato con De Capitani nel 2007 e The history boys di Alan Bennett, premiato con tre ‘Ubu” e con il Premio Le Maschere del Teatro Italiano per la categoria Miglior regia.
Da qui in poi Bruni prosegue lo scandaglio della drammaturgia inglese e americana dirigendo e interpretando con De Capitani Frost/Nixon, e dirigendo nel 2015, a quattro mani con Frongia, Il Vizio dell’arte di Bennett, dove interpreta il ruolo protagonista del poeta W. H. Auden. In tandem con Frongia sperimenta inoltre originali ‘cortocircuiti’ tra le arti, mettendo in gioco la sua abilità e sensibilità di pittore: disegna 300 acquerelli per Alice Underground, un vero e proprio cartoon teatrale, animato digitalmente dal co-regista; mentre Rosso lo vede all’opera nella parte del pittore Mark Rothko. La coppia di registi porta in scena anche il dittico wildiano Atti osceni (debuttato al Festival dei 2Mondi nel 2017) e L’importanza di chiamarsi Ernesto che segnano un record di spettatori all’Elfo Puccini e in tour.

Tra le incursioni nel teatro musicale ricordiamo l’interpretazione, come voce recitante, della creazione di Fabio Vacchi Prospero, o dell’armonia, con la Filarmonica della Scala diretta da Riccardo Chailly e la “partitura per immagine” che ha illustrato I quadri di un’esposizione di Musorgskij al Festival di Stresa.

I singoli biglietti degli spettacoli saranno in vendita a partire da sabato 7 settembre ore 10.00, presso il botteghino del Teatro e online su questo sito.

PREZZI

Posto unico     20€+ prev.
Under18 / tariffa Inteatro 10€

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